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Gennaio 1931. Adolf Hitler si aggiudica ad un'asta un dipinto inquietante che promette di varcare la soglia della vita ultraterrena attraverso il sogno. È la terza versione dell'Isola dei morti di Arnold Böcklin, dipinto celeberrimo ispirato dalla angosciosa volontà di una donna misteriosa. Una figura avvolta in un sudario bianco vista di spalle, un'anima in procinto di compiere il suo ultimo viaggio con lo sguardo rivolto all'approdo. L'oscuro anfratto di un'isola rocciosa in cui un bosco di cipressi svettanti sono testimoni funerei di quel passaggio. Un traghettatore su una barca a remi che scivola lento sull'acqua nera come pece. A prua una cassa. Amenità e silenzio si respirano nella scena. Un quadro dalla potenza immediata che coinvolge emotivamente chiunque lo osservi, capace di rendere il silenzio palpabile e incantevole perfino la morte. La nota morbosità di Hitler nei confronti del quadro, e le continue ricerche volte a scoprire accessi reconditi nelle viscere della terra, alla ricerca di civiltà primordiali, lasciano presagire che egli ne avesse intuito l'arcano messaggio. Dove si trova l'isola rocciosa in cui risiedono le anime? Cosa spinse dunque il pittore ad avventurarsi oltre il limite consentito della conoscenza e varcare quella porta mai profanata da esseri ancora in vita? Non Omnis moriar, non morirò del tutto, un pensiero tanto caro al pittore, scolpito nel luogo del suo eterno riposo. Una consapevolezza che riecheggia ovunque e volutamente celata ma da cui non si fugge. Un enigma, che ripercorrendo la storia del dipinto e dei suoi interpreti si sgretola tra sacralità e mistero, turbando e minando le certezze degli osservatori.